giovedì 1 maggio 2008

La Velina azzurra
25 Aprile 2008

Il pensiero libero cresce. Ha scoperto la tirannia del suo nemico, il pensiero unico globale. Conosce il volto delle oligarchie, le false divisioni ideologiche, le manipolazioni di massa. Spera che tra i nuovi e i vecchi oppressi, con un comune scatto d’orgoglio e di passione, si realizzi un nuovo blocco sociale per la salvezza del Paese. Il pensiero libero non guarda lontano ma vicino. Sa che l’arma più potente degli oppressori è la disinformazione. Questa newsletter vuole dare un contributo a neutralizzarla.


RIECCOCI

Non potevamo perderci il terzo atto

di Berlusconi perché la politica è fatta

anche di imprevisti

e magari lui darà qualche botta da matto


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - La Velina voleva andare in pensione. Avevamo chiuso bottega dopo la falsa vittoria elettorale di Romano Prodi nel 2006 e il suo ritorno a Palazzo Chigi. Eravamo stanchi di raccontare le macerie italiane, l’infinito collasso del Paese, gli inganni di una classe politica delinquenziale, definita riduttivamente “casta” per una furbizia editoriale di quelli che sperano in realtà di salvarla. Perché le caste sono fenomeni di ingiustizia sociale rimediabili con qualche riforma, mentre il saccheggio delle risorse nazionali è un crimine da trattare, a seconda dei casi, con le carceri di massa o con i forconi del popolo.

Confessiamo che eravamo stufi e rassegnati anche davanti alla certezza che dal voto del 13-14 aprile sarebbe venuto quel pareggio sollecitato dalle oligarchie internazionali in crescente azione sul nostro Paese. La stampa Usa e britannica si erano già schierate per un governo tecnico, finalmente il commissariamento dell’Italia. Invece ecco l’ennesima rinascita del Cavaliere, il ritorno sospinto da una valanga di voti di popolo, dimentichi dei precedenti fallimenti e ancora disperatamente bisognosi di un cambiamento. Siamo convinti che Silvio Berlusconi fallirà anche questa volta. Perché alla sua età non si possono cambiare né la testa né la coscienza. E perché gli interessi propri e altrui che lo hanno già bloccato sembrano impossibili da sfondare. Crediamo che l’Italia potrà salvarsi solo se dal fondo della sua crisi riuscirà a emergere un nuovo patto sociale tra le categorie più oppresse e quelle più produttive.

Ma il nuovo quadro che si è delineato è comunque troppo interessante. Poiché la politica è anche frutto degli imprevisti, Berlusconi, che non a caso sperava anche lui di nascondersi dietro il pareggio, sarà costretto a fare qualcosa di più che in passato, per non essere archiviato negli scantinati della storia nazionale: l’unica cosa che sembra non sopportare. Dovrà forzare la resistenza del vecchio establishment repubblicano che si oppone ad ogni perdita di potere. Un establishment di cui lui stesso, il Cavaliere, è parte piena. E, se questo avverrà, potremo vedere un Berlusconi contro Berlusconi, nel tentativo di forzare i confini del proprio ruolo politico; sarebbe divertente vederlo ribellarsi ai controllori e alle spie da cui è circondato, che lo seguono anche da prima del 1994.

Ma ancora più interessante sarà seguire il Cavaliere sui dossier incombenti come la politica energetica, osservare le sue scelte sulla crisi finanziaria internazionale, sulla dittatura dei mercati globali e sull’Europa, nei rapporti con Mosca e con i guardiani anglo-americani che, temendo da lui intemperanze e colpi di testa, hanno subito mostrato una netta ostilità al suo terzo mandato, con minacciose puntate personali da parte della stampa britannica. E lui, che è sempre più fuori controllo, impegnato nel culto di se stesso, potrebbe anche fare qualche mossa da matto rompendo i giochi nell’interesse del Paese. Comunque, vale la pena sperarlo. Di fronte a un piatto così ricco -lo confessiamo- non abbiamo resistito. Ed eccoci ancora qui, decisi a non perderci nulla dello spettacolo che si prepara.


La prima crisi di Gianni Letta:

forse il Cavaliere

comincia a ribellarsi ai suoi tutori


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - La vulgata giornalistica sostiene che il vice premierato di Calderoli è stato annullato per non imprimere al Governo l’immagine della Lega Nord. Non è vero, ci risulta che il problema fosse un altro, molto importante. Berlusconi aveva promesso in varie stanze e certamente anche a Napolitano che Gianni Letta sarebbe stato promosso al rango superiore di vice premier unico, per accreditare ulteriormente la sua immagine di presunta riserva della Repubblica. All’inizio sembrava che dovesse andare proprio così. E’ stata la Lega a bloccare questa nuova figura di alter ego del Cavaliere che avrebbe alterato l’equilibrio del governo e oscurato la stessa autorità del premier. La candidatura di Calderoli a vice premier associato aveva solo lo scopo di moderare le ambizioni e controllare le future mosse di Letta. Chi di quest’ultimo conosce la capacità di avocare e spegnere le decisioni ha realizzato subito quale potere di interdizione si sarebbe concentrato nelle sue mani.

Ma l’eminenza azzurrina, evidentemente sostenuto da qualcuno, ha alzato la posta, chiedendo anche la poltrona di ministro dell’interno oltre al vice premierato. E la Lega ha replicato riservando il Viminale per Roberto Maroni. Per Gianni Letta si delineava un brusco ridimensionamento che Berlusconi, coperto dalle necessità del rapporto con Umberto Bossi, non pareva troppo preoccupato di impedire. E qui, tra pochissimi addetti ai lavori, si apriva uno scenario inedito: l’impressione non di un dissenso tra il Cavaliere e la Lega -come la stampa ovviamente sosteneva- ma una crisi di saturazione nel rapporto tra il futuro premier con il fido mandarino incamminato verso mete troppo alte.

Solo quando Gianni Letta si è trovato pallidamente nudo davanti alle ragioni della politica, dopo una visita di entrambi a Napolitano il Cavaliere ha risparmiato una peggiore mortificazione al suo ingombrante luogotenente, convincendo Roberto Calderoli a mollare il vice premierato, e aumentando in cambio i ministeri della Lega. Quindi Letta tornerà a fare solo il sottosegretario, come 14 anni fa nel primo governo di centro-destra. Niente di più. Un sottosegretario con pretese bipartisan, mai presentato e mai eletto in un’elezione politica: l’uomo delle mediazioni e dei compromessi con l’establishment, che finora aveva goduto della piena fiducia di Berlusconi.


Altro che 25 aprile

l’Italia non è mai stata mai liberata:

la vera tragedia nazionale è tuttora

la sudditanza con i vincitori del 1945


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Per tornare in campo con la Velina Azzurra abbiamo scelto la data del 25 aprile, che è da 63anni il simbolo e il vero punto critico della tragedia italiana. Come abbiamo ancora verificato in questi giorni, le polemiche sulla Liberazione restano pietrificate sulla questione fascismo-antifascismo, ossia su quell’aspetto puramente storico che impedisce una comune lettura degli eventi e una reale pacificazione nazionale. Ma lasciamo perdere, non è questo il punto, dai tempi di longobardi e bizantini gli italiani hanno vissuto una quantità di guerre civili e religiose mai riassorbite, formando così il loro carattere nazionale che nessuno potrà mai cambiare.

Ciò che l’Italia era “prima” della “liberazione” e prima dell’entrata in guerra nel 1940 al fianco della Germania è cosa che verrà inevitabilmente valutata dalla storia scritta dagli storici e non da quella scritta dai vincitori. Ciò che deve interessarci è invece il presente, dove la contrapposizione fascismo-antifascismo è solo lo schermo con cui si continua -deliberatamente- a coprire la natura della vera, pesantissima questione italiana: ovvero la dipendenza del Paese dalle potenze straniere e la mancanza di legittimazione della sua classe governante. In quel 25 aprile, accadde un fatto assolutamente normale nella storia: per governare il Paese sconfitto e occupato, i vincitori anglo-americani lo consegnarono a un regime politico suddito, insediando quei gruppi e quei personaggi del CLN che li avevano serviti durante la conquista. Come nei secoli bui, con spagnoli e francesi. Ed esattamente come gli Usa hanno fatto in Iraq, dopo aver eliminato l’ex alleato Saddam Hussein di cui s’erano stancati. Hanno chiamato quattro esiliati iracheni e li hanno messi al potere. In entrambi i casi, all’Italia e all’Iraq, hanno fornito loro il manuale delle nuove regole, condizioni, tabù, etc per far sottostare i liberati alle necessità dei liberatori.

A questo punto, concetti come sovranità nazionale, democrazia formale, libera scelta, diritti, elezioni sono sempre stati una scontata ipocrisia. Sulle cose che contano, strategiche e geopolitiche, da 63 anni gli Usa controllano di fatto il nostro Paese, muovendo le reti di amici e tirando anche bruscamente le redini qua e là quando occorre. Gli italiani non sono mai tornati liberi, come si pretende. Se lo dicono i comunisti che gli Usa li hanno tenuti fuori dal comando con tutti i mezzi legali e illegali ciò significa di converso che i partiti politici “amici dell’America” governavano ligi agli ordini ricevuti. Era per tenere fuori il comunismo dall’Italia? Certo. Ma era anche per tenerci legati all’America.

E quindi l’Italia non era un Paese libero di decidere davvero il proprio assetto interno e le proprie amicizie internazionali. Ma ciò significa che la nostra classe governante non era espressione della volontà popolare ma una struttura politica di dipendenza e collaborazione in cambio del ruolo ricevuto. Viene da ridere quando si cita il caso di Aldo Moro nell’ormai generale certezza che l’uomo politico democristiano venne sacrificato su ordine delle due superpotenze per i suoi eretici programmi sul Partito Comunista. Da entrambe le superpotenze, chiariamo bene. E allora bisognerebbe domandarsi: se l’Italia all’epoca di Moro non era libera nemmeno nella sua politica interna, adesso si è forse liberata? Per esempio, i suoi “legami” con l’Occidente la rendono libera di rifiutare la dittatura dei mercati o di fare una politica di vasta collaborazione economica con la Russia o con l’Iran? Fino a un certo punto, forse, ma non oltre.

Con il nuovo assetto dell’Europa e del mondo, ammainata la bandiera della difesa del mondo libero dallo spauracchio dell’Unione Sovietica, le cose sono diventate molto più chiare. L’Italia, ormai svuotata ed esausta per la lunga mancanza di un sistema politico vitale, continua ad essere governata da quella stessa classe dirigente di collaborazionisti che era già abusiva all’origine e figuriamoci ora. Una classe necrotizzatasi nel tempo resiste aggrappata al potere che non ha più: con le sue fradice istituzioni, i decrepiti presidenti, gli apparati mafiosi, le vergogne non più nascoste. E sta trascinando nel suo gorgo un Paese che non solo si spezza in due tra nord e sud ma anche nella frattura sempre più larga tra le masse impoverite e senza futuro e le volgari oligarchie dei ricchi con licenza illimitata di furto e di speculazione.

Così i vecchi padroni anglo-americani si sono innervositi, non immaginano dove andrà l’Italia che rischia ormai di dover uscire dall’Euro, quel recinto dove i popoli sudditi dell’America sono stati chiusi e privati della loro sovranità. I padroni sono diventati inquieti e quindi molto visibili. Leggiamo ogni giorno sui loro mass media i consigli, le minacce, le manovre sulla nostra economia. Le maldestre operazioni per rinnovare la politica italiana, riciclando al potere gli ex comunisti pentiti e ricattati, sono tutte fallite. L’ultima patetica delusione è stata il Partito democratico, partorita nelle tenute inglesi di Rothschild e covata dal sinedrio di economisti neo-fabiani riunito attorno a un direttore di giornale. Ma faranno altre prepotenze, intrighi e chissà cos’altro per non mollare l’osso. La tragedia della “liberazione” è solo questa: che i liberatori sono ancora qui, con i loro servi e scherani, anche questi ultimi sempre più visibili. Avremo il piacere di occuparci di entrambi.


Caduta la maschera di Giuliano Ferrara:

aveva firmato cambiali segrete a Rutelli


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Non ci siamo mai fidati di Giuliano Ferrara. A fine anno, con la crisi di governo in arrivo, Francesco Rutelli titolare dei beni culturali aveva insediato suo fratello Giorgio come direttore del festival dei due mondi. Prima di Spoleto, costui era stato 4 anni a Parigi direttore dell’Istituto Italiano di Cultura. Sempre di nomina politica, stavolta partita dal governo di centro-destra. Gli intellettuali nostrani e transalpini si erano scatenati contro la temuta “berlusconizzazione” della cultura. Niente paura. L’altro ieri il fratellone Giuliano ha fatto outing rivelando che andava a votare per Rutelli al Campidoglio. Una famiglia bipartisan.

E con questo, finalmente si è avuta conferma dei peggiori sospetti sulla lista anti-aborto: mirava semplicemente a uno smottamento di voti cattolici dal centro-destra per favorire il P.D. soprattutto a Milano e Roma, dove l’operazione avrebbe danneggiato Gianni Alemanno, nella speranza che Rutelli vincesse al primo turno. Il destino ha voluto diversamente: così nel ballottaggio, Ferrara ha dovuto uscire allo scoperto almeno per onorare a chiacchiere le cambiali da lui sottoscritte con la sinistra. Ma anche dopo questo, non crediamo affatto che Berlusconi sia capace di liberarsi di un personaggio così infido, che lui e sua moglie Veronica Berlusconi hanno considerato sinora un fedele consigliere.


Le banche italiane strozzano Sensi

aprendo la strada alla finanza ebraica

che ha conquistato il calcio inglese

e sta per dilagare in italia


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Vendono o non vendono. Altro che. Con 340 milioni di debiti ufficiali, i poveri Franco e Rossella Sensi venderanno di sicuro, di corsa, disperatamente. Venderanno a qualcuno ma venderanno. Negando l’interesse a cedere la Roma calcio volevano fare i furbi con i potenziali compratori, tra cui quel George Soros che nel 1992 stese a terra in pochi giorni la Lira italiana e la Sterlina britannica. E che ora, guardando altrove come il gatto fa quando ha già preso il topo tra le zampe, li sta strozzando con l’aiuto delle banche italiane creditrici che spingono su Italpetroli per un rientro immediato. Due banche per la memoria futura: Unicredit e Antonveneta (ormai quasi di proprietà del gruppo Montepaschi, quello di D’Alema e compagni). Perciò Soros, se davvero ha deciso di comprare il club giallo rosso farà firmare un assegnuccio al proprio segretario. E della società e dintorni (i terreni di Trigoria e Torre Vecchia) si occuperanno solo i suoi fiduciari italiani.

Quanto a Papà e figlia, hanno già dovuto vendere la catena degli alberghi (Cicerone, Filippo II, Residence Villa Pamphili), la quota in Aeroporti di Roma e alcune istallazioni petrolifere sulla costa tirrenica. Grasso che cola se riusciranno a salvare dal disastro qualche lotto per assicurare un sereno futuro anche familiare all’intraprendente Rossella. La stampa sportiva sembra averli già abbandonati, a giudicare dalle sviolinate verso il nuovo presunto padrone, inaugurate mercoledì scorso dal Corriere dello Sport. Ma temiamo proprio che con Soros i tempi grassi sarebbero finiti per gli amici giornalisti e per un intero mondo variegato di furbi e di imbecilli che ha ruotato per decenni attorno alle tribune giallorosse.

Infatti, nessuno ha detto ancora che il mercato del calcio europeo è stato preso d’assalto dalla finanza ebraico-americana ed ebraico-russa che in pochi anni ha già ingoiato il campionato inglese di prima serie. Nella rassegna stampa dell’Ucei, la comunità israelita italiana, si rileva con orgoglio che “oggi gli israeliani - e gli ebrei in genere - sono i protagonisti del calcio britannico”. L’elenco dei club acquistati da magnati americani o russo-britannici di origine ebrea, oltre ovviamente al Chelsea di Roman Abramovic (pare azionista sotto banco anche di altre squadre) comprende l’Arsenal, il Manchester United, il Liverpool, l'Aston Villa di Birmingham, mezzo Portsmouth. La rassegna dell’Ucei presenta con soddisfazione anche una notevolissima lista di manager, allenatori e agenti procuratori di origine ebraica e persino di calciatori israeliani di grande successo.

Il fatto è che dagli stadi e dall’infinito indotto televisivo, industriale, commerciale ed edilizio del foot ball, sapendoci fare, non si ricavano solo montagne di soldi, ma si controllano fenomeni e tendenze politiche, sociali e culturali di intere Nazioni: voti, costumi, simpatie, antipatie. Ad esempio non è forse un caso che Abramovich voglia comprare il Bari della famiglia Matarrese, puntando a una città strategica del sud Italia, prossimo terminale del gasdotto russo South Stream, che guarda ai traffici di ogni genere tra l’Adriatico e i Balcani. Qualcuno dovrebbe cominciare ad insegnare alla gente che le geo strategie delle grandi potenze si sono aggiornate. E le basi militari che giustamente spaventano la gente hanno pur tuttavia un ruolo subalterno e complementare rispetto ad altri flussi profondi che preoccupano molto meno dei bombardieri.

Anche l’eclettico George Soros si occupava da tempo di club sportivi, oltre che di assalti alle monete e di rivoluzioni arancioni nei Paesi già alleati della Russia. Finanzia notoriamente squadre nel basket e di calcio. E’ proprietario del DC United, apprezzabile club del soccer americano. Nel 2004 ha tentato un colpo grosso, l’acquisto della Washington National, squadra icona di base-ball della capitale USA. Ma la politica USA glielo ha impedito, alla faccia del mercato. E lui ha abbozzato, avendo scoperto nel frattempo che la vera Mecca è l’Europa. Il suo interesse per la Roma è quindi credibile, anche se qualcuno sospetta che l’ipotesi Soros sia solo uno sbarramento contro altri concorrenti esteri ansiosi di irrompere negli stadi del Bel Paese.

Comunque è un segno dei tempi vedere ridotta quasi sul lastrico una delle famiglie di media potenza della prima repubblica, che tutti credono erroneamente romana. Nessuno ricorda più che papà Franco Sensi, con la protezione del democristiano Arnaldo Forlani, era passato dal mestiere dei diretti ascendenti (ovini e ricotte transumanti) agli idrocarburi e al quotidiano Corriere Adriatico, diventando il ras economico democristiano delle Marche. La seconda repubblica, con le sue follie bancarie lo ha portato fuori dall’anonimato marchigiano, ai vertici della Roma calcio e -ca va sans dire- alle grandi lottizzazioni della capitale, fatte e ancora da fare.

Dopo l’epoca dei buffi a man salva, il grosso guaio per i Sensi giallo-rossi è stata la dipartita giudiziaria dell’omologo patron laziale Sergio Cragnotti, con conseguente, rapidissima fuga dal business del calcio del comune protettore, il banchiere frascatano di Capitalia Cesarone Geronzi. A questo punto, in un crescendo di strette alle coronarie di Papà Franco, il destino dei Sensi era segnato nonostante i consigli dell’assiduo vicino di tribuna Pippo Marra. Ed ora ecco l’assalto degli stranieri. Se Soros si prende la Roma colpirà al cuore, direttamente nella capitale. Poi toccherà anche ad altri. Il mercato calcistico italiano è ricco di opportunità per i professionisti della speculazione planetaria, così lontani dai nostri miserabili affaristi di provincia. Un caro nostro amico, parafrasando Von Clausewitz, ha teorizzato che il calcio italiano “è la continuazione della politica con altri mezzi”. Se ciò è vero –e ne siamo convinti- anche questo strumento potrebbe finire presto in mani non italiane.


Onore a Selva quello dell’ambulanza

che lascia il Parlamento seppellendo

il 25 aprile: “Una festa da abolire

una data da dimenticare”


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Vogliamo andare contro corrente salutando con tutti gli onori Gustavo Selva che lascia il Parlamento in questi giorni, avendo deciso di non ripresentarsi alle elezioni del 13-14 aprile. Un gesto saggio e realistico, da responsabile servitore dello Stato. Adesso che questa sua razza si è estinta, all’età che porta, è meglio prendere posto nel piccolo girone dei saggi e degli onesti, dedicando la propria lunga esperienza e la propria lunghissima vita futura ad opere e ruoli ben più alti ed incisivi delle squallide risse politiche. Come l’aggressione quasi generale di cui Gustavo è stato vittima per il noto episodio dell’ambulanza: un’innocente sciocchezza da lui stesso dolorosamente ammessa davanti alla platea di ladri e malfattori che ha devastato e continua a saccheggiare questo nostro Paese.

Gustavo, in quel momento, l’hanno compreso e difeso in pochissimi, tra cui -bisogna dirlo- quel Silvio Berlusconi che in certe sortite riesce ad apparire in collisione con il conformismo dell’establishment. Mentre è altrettanto d’obbligo sottolineare che Selva è stato abbandonato proprio dalla leadership di Alleanza Nazionale che del suo nome si era servita nel 1994 come copertura per il primo passo verso lo smaltimento della vecchia identità del MSI, processo che si concluderà con l’imminente confluenza nel PDL berlusconiano.

Ormai, il prossimo presidente della Camera Gianfranco Fini crede –lui crede- di aver raggiunto il proprio obiettivo: lo spegnimento della fiamma della memoria in cambio di una plastica facciale di leader asettico e modellabile come la gomma da masticare, simbolo della cultura dei “berretti verdi” americani che tanto lo affascinarono. Inutile ricordare che la chewing gum finisce regolarmente sotto le scarpe di qualcuno. Ma giova sottolineare una coincidenza che è segno dei tempi: mentre il “giovane” Fini sale ad inchinarsi alle cadenti istituzioni politiche imposte dai vincitori all’Italia sconfitta, l’anziano Gustavo Selva lascia Palazzo Madama dopo sessanta anni di impegno politico con un gesto di forza e di sfida: il ripudio del 25 aprile e la richiesta di abolire la relativa festa nazionale.

"Purtroppo per la retorica e i falsi che sono stati fatti- ha spiegato Selva in una dichiarazione a Radio Radicale- viene attribuito alla Resistenza e alla vittoria dei partigiani un merito che non c'è stato". Da emiliano che ha vissuto in quegli anni nel famigerato triangolo dei massacri, egli ha ricordato le vendette assassine dei cosiddetti eroi della Resistenza, concludendo che il 25 aprile “non ha creato unità nel popolo italiano, è sempre stato motivo di divisione, è una data che va dimenticata”.

Per la naturale modestia che lo distingue, tra i pregi e i difetti, Selva ama presentarsi tuttora come un semplice giornalista, ricordare del proprio ricchissimo passato solo il grintoso periodo alla guida del GR2. Sbaglia e speriamo proprio che cambi argomenti. L’idea che abbiamo della sua persona è ben più alta e ricca. Tanto che, nella miserabile Italia di oggi, tra le pochissime figure che per onestà intellettuale e nobiltà politica meritano ammirazione, lui è una delle più luminose. Dunque, onore e buona fortuna a Gustavo. C.L.


LA VELINA AZZURRA


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