mercoledì 21 maggio 2008

La Velina azzurra
20 Maggio 2008

Il pensiero libero cresce. Ha scoperto la tirannia del suo nemico, il pensiero unico globale. Conosce il volto delle oligarchie, le false divisioni ideologiche, le manipolazioni di massa. Spera che tra i nuovi e i vecchi oppressi, con un comune scatto d’orgoglio e di passione, si realizzi un nuovo blocco sociale per la salvezza del Paese. Il pensiero libero non guarda lontano ma vicino. Sa che l’arma più potente degli oppressori è la disinformazione. Questa newsletter vuole dare un contributo a neutralizzarla.



COMPLOTTI GLOBALI


SI REALIZZA LA MINACCIA

DELL’ECONOMIST

BERLUSCONI NON AVRA’ TREGUA

DEVE ANDARSENE SUBITO


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) Non appena ottenuta la fiducia dal Parlamento, il nuovo governo di centro-destra di Silvio Berlusconi è entrato in un ciclone violento, una tempesta sull’Italia, una Babele di grida, attacchi e provocazioni provenienti dall’interno e dall’estero, in cui non è facile ricavare una minima linea logica. I guastatori sono in piena azione in attesa del consiglio dei ministri straordinario di domani a Napoli. Bersaglio preferito un “decreto sicurezza” di cui in realtà si sa poco e niente, che vorrebbe solo ripristinare nella giungla italiana minime condizioni di legalità e di giustizia. Ma, evidentemente, questo non deve essere fatto. L’Italia deve restare così com’è. Tra le provocazioni va inclusa ovviamente l’improvvisa e misteriosa furia dei napoletani per l’emergenza rifiuti, scoppiata con incendi e barricate proprio alla vigilia dell’arrivo del Cavaliere in città. Chi conosce certi linguaggi sa che una coincidenza del genere non è altro che una minaccia mafiosa. Significa che se Berlusconi tenterà davvero di risolvere la questione napoletana, sarà peggio per lui.

Questo clima marcio e velenoso, sadicamente alimentato dai mass media italiani e internazionali, rischia di paralizzare e sommergere un governo che non ha fatto ancora nulla né di bene né di male: un governo che parte comunque in condizione strutturale di debolezza per la natura stessa dei governi di Berlusconi, ma anche come qualsiasi organo esecutivo o politico di destra o sinistra che tenti di fare qualcosa per modificare lo statu quo e strappare questo disgraziato Paese al suo declino. Abbiamo più volte denunciato forze e interessi internazionali che, per lucida pianificazione o per antiche gelosie e miserabili calcoli di convenienza oppure semplicemente per conformismo, ostacolano fin dal 1993-94 ogni autonomo tentativo di ripresa, premendo in molti modi visibili affinché l’Italia si arrenda alle regole neocoloniali dettate dalle ben note oligarchie finanziarie, oppure che sprofondi in condizioni sempre peggiori, cedendo agli avvoltoi i propri mercati e le proprie posizioni internazionali. Non a caso l’aggressione appena scattata contro il governo Berlusconi è identica a quelle già avvenute con l’insediamento dei suoi primi due governi, nel 1994 e nel 2001, in attuazione delle minacce preventive lanciate ogni volta dall’Economist.

Anche questa volta, il settimanale britannico aveva proclamato sia prima delle elezioni italiane (un editoriale nel gennaio 2008) sia dopo la vittoria elettorale (aprile 2008) che Berlusconi è inadatto (unfit) a governare. Il 16 aprile The Guardian scriveva che "gli italiani si pentiranno della scelta che hanno fatto". L’Italia è tornata ad essere ciò che più volte è stata nella sua storia: la pancia molle dell’Europa. Ed oggi è soprattutto l’anello debole tra i Paesi europei più strategici. Mantenere la Penisola in una condizione di instabilità permanente significa anche intimidire gli altri; creare un largo vuoto nell’Europa del Sud; impedire una nuova politica comune energetica, mediterranea e balcanica insieme con Francia, Germania e Spagna. Una politica europea libera e autonoma rispetto agli interessi anglo-americani.

E quindi le forze che controllano i mass media e vari centri tattici sono passate subito ai fatti, svelando un piano chiarissimo: Berlusconi non avrà alcuna chance di governare tranquillamente, con il rischio che riesca a risolvere qualche problema italiano, uscendone fuori come un mito. Un rischio che certi poteri forti non possono permettersi. Un erede di Peron in Europa sconvolgerebbe tutti i piani. No, gli salteranno addosso subito, è già chiaro.


FOLLIE DIPLOMATICHE

FRATTINI MANDA RONCHI A MADRID

A “SPIEGARE” CHE BERLUSCONI

NON HA BISOGNO DELLO PSICHIATRA


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) In attesa di sapere come la prenderà Berlusconi, non c’è che restare agghiacciati davanti all’ultimo capolavoro del ministro degli esteri Franco Frattini. Non appena da Madrid è arrivata la bordata di offese all’Italia, al suo governo e al suo presidente del consiglio, Frattini ha risposto con un soffio di voce che si trattava di dichiarazioni “inaccettabili”, usando l’espressione più blanda possibile nei rituali diplomatici. In qualsiasi Paese sovrano, il ministro avrebbe rimandato la palla dall’altra parte, richiamando subito il proprio ambasciatore e congelando le relazioni diplomatiche al livello di incaricato d’affari. E avrebbe legato il ritorno alla normalità alle scuse formali pronunciate dalla ministra Bibiana Aido all’ìndirizzo del Cavaliere. Così si trattano queste cose. E gli spagnoli, sapendo di avere torto marcio, avrebbero certamente abbassato le orecchie.

Ma il peggio è venuto con i due passi successivi della Farnesina. Primo, . effettivamente Frattini ha richiamato al ministero l’ambasciatore Pasquale Terracciano per consultazioni. Ma per non apparire troppo determinato con gli spagnoli, non lo ha detto. Incredibilmente il Servizio stampa del ministero ha dettato poche righe all’agenzia Ansa per riferire che Terracciano aveva previsto da tempo il viaggio a Roma e Frattini ne ha colto l’occasione per farsi una chiacchierata sulle offese al nostro capo del Governo. Qualcosa tipo: “Oh, che combinazione, Terracciano, Lei a Roma!. Venga in ufficio, che parliamo un po’ delle sedute psichiatriche di Berlusconi”.

La seconda mossa di Frattini appartiene proprio al regno della follia: ha annunciato che un membro del governo, nella persona del ministro delle politiche europee Andrea Ronchi, andrà a Madrid domani o dopodomani per “spiegare” –proprio così ha detto: “spiegare” agli spagnoli- la politica italiana in materia di sicurezza, immigrati clandestini, zingari, etc. E quindi il debuttante Ronchi, con tutta l’arte diplomatica acquisita nelle sue esperienze giornalistiche con l’ingegner Rebecchini, “spiegherà” anche che il Cavaliere Silvio Berlusconi non è affatto un soggetto da manicomio, come sembra agli spagnoli, e neppure un “delinquente”, come ha detto testualmente il vecchio leader socialista Alfonso Guerra.

Non sappiamo se qualcuno dello staff diplomatico del ministro Frattini abbia sentito il dovere di sconsigliargli questa follia. sappiamo se, magari per improvvisa folgorazione di qualcuno, Ronchi verrà fatto partire davvero per Madrid, a giustificarsi con un governo tanto ostile, che ha dimostrato di non conoscere l’abc dei rapporti internazionali: un gallinaio di sedicenti ministre incoronate dalla demagogia dell’attuale leader del socialismo spagnolo. In questa aggressione dilettantesca, in questa furia irrazionale, è facile però ravvisare quello stesso odio ideologico che scatenò la guerra civile spagnola. L’Italia fascista mandò le sue truppe per risparmiare in quel Paese gli orrori del comunismo internazionale, che però avrebbero lasciato alla Spagna di oggi un’eredità indelebile, come nei Paesi che hanno ben conosciuto quel morso. Forse fu uno dei tanti errori del Fascismo.


IDENTITA’ E MILIZIA POLITICA

DELLE MINISTRE ROSA DI ZAPATERO


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) Nessun giornale italiano ha indagato sulle due ministre rosa di Zapatero. La vice presidente del governo María Teresa Fernández de la Vega, quella che ha accusato gli italiani di xenofobia e razzismo, è anche il portavoce del governo. E quindi le cose che dice sono comunicazioni ufficiali. La sua professione è rivelatrice: è un magistrato o più esattamente un Secretario judicial, membro militante della potente associazione “Giudici per la democrazia” che equivale alle nostre correnti ex comuniste della magistratura italiana. E si sta battendo per abolire le riforme penali introdotte dal precedente governo popolare di Jose Maria Aznar. E’ dunque facile capire i motivi dell’aggressione al nuovo governo italiano di centro-destra che vorrebbe seguire la strada dell’alleato Aznar.

Della stessa associazione fa parte anche l’attuale ministro dell’interno spagnolo José Antonio Alonso. Siamo nel centro della lobby della magistratura europea, che prende gli ordini dalla britannica “Transparency International”. E guarda caso la De la Vega è amica proprio del magistrato Baltazar Garzon, quello che da tempo spera di poter arrestare Berlusconi. Quanto alla trentunenne scugnizza Bibiana Aido è sufficiente sottolineare che prima di essere chiamata nel governo di Zapatero dirigeva un’agenzia per lo sviluppo del Flamenco gitano. E quindi la sua missione principale è tutelare la cultura rom.


MARCIA INDIETRO DI FRATTINI

SUL MANDATO DI UNIFIL-2

ADESSO SPERA CHE HEZBOLLAH

SI DISARMI DA SOLO


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) - Il ministro degli esteri Franco Frattini ha infilato una dopo l’altra una serie di perle diplomatiche che vanno segnalate. Prima ancora della formazione del governo si era spinto imprudentemente in avanti sostenendo la necessità di modificare le regole d’ingaggio della missione militare in Libano. Dopo qualche insistenza, ha dovuto cambiare idea. Qualcuno gli ha spiegato che una modifica del genere spetta all’Onu e non può essere fatta dal governo italiano. Insomma una clamorosa marcia indietro dopo che per alcuni giorni tutti i mass media italiani ripetevano che il nuovo governo di Berlusconi avrebbe riesaminato le regole d’ingaggio dell’Unifi-2.

Il ministro si è corretto con i giornalisti al vertice di Lima in Perù dichiarando che “prima di fare il tagliando alla missione è necessario instaurare una situazione di controllo del territorio da parte del governo libanese, poi è chiaro che il Consiglio di Sicurezza una parola sulla 1701 la potrà dire, cioè se il disarmo degli Hezbollah dev'essere fatto solo dalle forze di sicurezza libanesi o meno”. Per fortuna, il ministro ha messo da parte la balzana idea (suggerita dagli israeliani) che spettasse alle truppe italiane di andare casa per casa e covo per covo a sfidare il “Partito di Dio”.

Ma insomma chi dovrà andare a disarmare le terribili milizie scite? L’Italia insieme con altri chiederà al Consiglio di Sicurezza una nuova dichiarazione in cui si esiga "la cessazione di ogni azione illegale" in Libano. E allora? “Beh, adesso tocca all'Hezbollah fare un passo positivo ed evitare di fare uno Stato nello Stato.” Insomma, secondo Frattini lo stesso Hezbollah dovrebbe rinunciare cavallerescamente alla propria forza militare, che è lo strumento del suo potere nel Paese. E’ raro che un ministro degli esteri fornisca alla stampa comunicazioni basate essenzialmente sui propri sogni personali.


L’ALTRO RIPENSAMENTO

DI FRATTINI: L’ITALIA VORREBBE

ENTRARE IN RITARDO

NEL CLUB CHE TRATTA CON L’IRAN


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) - Un’altro ripensamento del nuovo governo sulla politica estera riguarda l’Iran e mira in apparenza a correggere uno dei gravi errori commessi dal precedente governo di centro-destra. Nel 2003, con Berlusconi premier e Franco Frattini anche allora ministro degli Esteri, l’Italia presidente di turno dell’Unione europea restò fuori dalla troika europea (Gran Bretagna, Francia e Germania) che avviò le trattative con Teheran sulla questione nucleare. Non fu mai chiaro il motivo di questa esclusione o auto-esclusione, che portò a uno sviluppo fortemente negativo per Roma, ossia alla nascita del gruppo 5+1 (i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania): proprio l’allargamento di fatto del Consiglio che Roma aveva sempre temuto. Adesso Frattini vorrebbe rimediare al pasticcio del 2003.

Perciò sempre al vertice Ue-America di Lima, nei suoi continui contatti con la stampa, il ministro degli esteri ha riferito di aver già fatto richiesta agli Stati Uniti affinché anche l’Italia venga invitata nel gruppo. Ed ha lasciato intendere che –chiaramente per uno scambio di favori con Washington- la Farnesina è pronta ad adottare nei confronti di Teheran una politica estera maggiormente filo-americana. In realtà il primo sospetto che viene in mente è che la proposta di una correzione anti-iraniana sia partita dagli americani. Frattini ha dato comunque questa spiegazione: “Non vogliamo un’influenza così tangibile dell’Iran sullo scenario siriano, libanese, mediorientale. Ci preoccupa. Non vogliamo una potenza nucleare nel Grande Medio Oriente. Per questo desideriamo essere dentro la partita”. Secondo Frattini gli Usa sarebbero favorevoli e la tardiva adesione dell’Italia al club 5+1 dipende solo dagli altri europei. Ma è già scontato che tedeschi si opporranno, gelosi dello strapuntino conquistato nel consiglio di sicurezza. E quindi anche questa esternazione di Frattini, come quelle sul Libano rischia di essere un wishful thinking.


INSERZIONE ALLA FARNESINA:

CERCASI DIPLOMATICI

NEMICI DEL CENTRO-DESTRA

OFFRESI POSTI E PROMOZIONI


Roma 20 maggio (La Velina Azzurra) - Frattanto il ministro degli esteri Frattini, intento a completare il proprio staff, sembra aver accettato per metà i consigli del segretario generale Gianpiero Massolo che gli suggeriva Alain Economides nella delicata funzione di capo di gabinetto. Economides, diplomatico già legato alla gestione dalemiana e “sentinelliana” della Farnesina, ha preso posto nelle stanze accanto al ministro che però non ha ancora firmato il decreto di nomina. Come vice capo di gabinetto è stata chiamata Teresa Castaldo molto esperta di rapporti con il Parlamento.

Al posto di Economides alla Cooperazione allo sviluppo è stata nominata Elisabetta Belloni, già capo dell’unità di crisi ed effettivamente uno dei migliori candidati. Massolo, che vuole affiancarla con un suo uomo di fiducia, ha indicato come vice della Belloni l’ex ambasciatore in Sudan Lorenzo Angeloni, noto per la strenua battaglia combattuta contro Barbara Contini quando venne inviata nel Darfur dal governo Berlusconi. Frattini fa queste cose: se gli vengono presentati diplomatici che hanno boicottato la Farnesina di centro-destra nella scorsa legislatura, lui li accoglie con gioia misteriosa.


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martedì 6 maggio 2008

La Velina azzurra
6 Maggio 2008

Il pensiero libero cresce. Ha scoperto la tirannia del suo nemico, il pensiero unico globale. Conosce il volto delle oligarchie, le false divisioni ideologiche, le manipolazioni di massa. Spera che tra i nuovi e i vecchi oppressi, con un comune scatto d’orgoglio e di passione, si realizzi un nuovo blocco sociale per la salvezza del Paese. Il pensiero libero non guarda lontano ma vicino. Sa che l’arma più potente degli oppressori è la disinformazione. Questa newsletter vuole dare un contributo a neutralizzarla.


E’ PARTITA SUBITO ALLA FARNESINA

LA PRIMA MANOVRA

PER INGABBIARE FRATTINI


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) Una Farnesina imbarazzata e inquieta si prepara in fretta al nuovo governo del PDL e al ritorno di Franco Frattini, dopo due anni di tranquillo sbilanciamento sulla gestione di sinistra e sul “sistema” D’Alema-Dassù. La struttura diplomatica guidata dall’attuale uomo forte del ministero, Giampiero Massolo, non avendo creduto neanche per un momento ad una possibile riedizione piena del centro destra, si era orientata facendo altri calcoli. Adesso si trova a correre per recuperare terreno. Per giunta si vede davanti un ministro non nuovo, che già conosce sia i dossier diplomatici sia la macchina ministeriale e che –almeno si spera- saprà evitare quel trattamento di salamelecchi e fregature che i vertici ministeriali riservano agli ingenui titolari di prima nomina: il dirottamento su viaggi inutili e questioni inconsistenti.

Così Massolo ha dovuto improvvisare una strategia di emergenza basata sulla piccola furbizia che aveva già funzionato nella legislatura del centro-destra precedente: ossia mettere i propri amici personali nei posti chiave, presentandoli come affidabili per il centro-destra, dopo averli già impiegati al servizio della sinistra. Per prima cosa, il segretario generale si è fatto ricevere qualche giorno fa da Frattini per concordare l’imminente insediamento. Vero scopo del colloquio era suggerirgli come capo di gabinetto l’ambasciatore Alain Economides, attuale direttore generale della cooperazione allo sviluppo. Quest’ultimo è molto legato a Massolo che lo ha aiutato nella fortunata carriera con vari modi discreti. E chi conosce la Farnesina sa che un segretario generale ambizioso e accentratore, piazzando un fedelissimo come capo dello staff del ministro degli esteri, è in grado di “commissariare” tranquillamente il ministro stesso, il quale si troverebbe senza accorgersene a svolgere un ruolo pilotato in altre sedi. L’intera manovra imperniata su Economides viene ritenuta quindi cruciale dagli osservatori interni, per consentire a Massolo di mantenere sulla struttura ministeriale un potere considerato da molti assai anomalo rispetto alle tradizioni della diplomazia (ma questo lo esamineremo a parte).

Gli altri candidati per il posto strategico nelle stanze accanto a quelle di Frattini sarebbero vari: da Pasquale Terracciano allora direttore del servizio stampa, ma ormai sistemato a Madrid, dove ha fatto di tutto per andare; al senior Giancarlo Aragona, che si è auto candidato al posto, dovendo rientrare da Londra; alla lanciatissima Elisabetta Belloni, che ha mantenuto la difficile Unità di crisi tra le poche eccellenze del ministero. Ma nessuno di costoro fa parte del “inner circle” del segretario generale. Perciò Massolo ha accreditato Economides a Frattini come la scelta più sicura, garantendo sulla sua compatibilità e lealtà verso il centro-destra, ma scommettendo temerariamente sull’ipotesi che il nuovo ministro, durante il mandato europeo a Bruxelles, non sia rimasto aggiornato sulle questioni della Farnesina. La mossa verrebbe completata, secondo indiscrezioni dal primo piano del ministero, portando in decisione al primo o al secondo consiglio dei ministri (con la motivazione di una presunta urgenza) la nomina alla cooperazione di un successore di Economides altrettanto amico di Massolo e –çà va sans dire- presentato come altrettanto “affidabile” per il centro-destra.

Schema tattico abile ma rischioso per chi lo presenta. Frattini, per quanto giovane di età, non crede più da tempo alle favole e non vorrebbe farsi compatire dall’intero ministero e fuori di esso. Non può ignorare che proprio Economides, nei due anni di D’Alema-Sentinelli, è stato il centro motore di un’operazione da annali della Farnesina, che ha provocato severe interpellanze parlamentari da parte di Sandro Bondi: cioè una mirata campagna di discredito stile purghe di Praga verso la precedente gestione degli aiuti allo sviluppo, per giustificare la cancellazione (vedi sotto i dettagli) di tutto ciò che di innovativo era stato costruito dal sottosegretario Alfredo Mantica insieme ai precedenti ministri (fase interim di Berlusconi, fase Frattini e fase Gianfranco Fini).

Il segretario generale Massolo, accreditato anche lui in teoria come “vicino” alla destra, conosce molto bene questi retroscena cui non risulta aver mai fatto opposizione. Ed è incomprensibile da parte sua un tentativo così azzardato di accreditare Economides per ciò che non è. Tanto più che nel clima teso di questa terza occasione berlusconiana, tutti i commensali della tavota rotonda del Cavaliere, i fortunati sotto cavalieri unti del grande leader, sanno bene che non saranno più giustificati certi errori dilettanteschi nell’azione di governo, specie quelli dovuti al boicottaggio di amministrazioni ostili o inaffidabili.


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LA RIFORMA SCONOSCIUTA DELLA DESTRA

CANCELLATA DALLA SINISTRA


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) Nell’estate del 2006, al primo “comitato direzionale” della Cooperazione allo sviluppo dopo l’uscita di Gianfranco Fini e l’arrivo di Massimo D’Alema agli Esteri, il direttore generale Alain Economides varava una raffica di delibere, cancellando con un solo colpo tutte le innovazioni istituite dalla precedente gestione Mantica di centro-destra e ripristinando lo statu quo. Capire che cosa significa ciò è facilissimo. Gli aiuti allo sviluppo sono un settore quasi esoterico e di impossibile comprensione per i non addetti ai lavori. Nello stesso tempo costituiscono l’unica direzione generale degli Esteri dotata di un proprio autonomo bilancio. La rete mafiosa italiana ed estera che conosce i meandri di questa realtà nascosta ai comuni mortali (e così si è voluto sempre che fosse) decide su come spendere quei soldi e a favore di chi, permettendosi di chiudere la bocca ai politici e persino ai vertici diplomatici che mettono la loro firma sulle erogazioni. Ciò spiega perché da 30 anni, il settore è controllato da una ristretta e impenetrabile cupola di cosiddetti “esperti”, contrattisti esterni del ministero, alleati con la Cgil e con la sinistra politica, che ne ricava benefici vari e finanziamenti per le proprie Ong. Non a caso la cooperazione, come quasi tutto il quarto settore, è rimasta un fenomeno controllato dai sindacati di sinistra e chiuso alla destra.

Con lo sbarco dei berlusconiani alla Farnesina, era avvenuta una cosa semplice e in fondo ovvia: in pochi mesi quella Babele di norme e procedure iniziatiche era stata semplificata e ricondotta alla comprensione di tutti; il meccanismo dei progetti era stato accelerato; ed erano stati messi nuovi paletti sia per limitare lo strapotere degli “esperti” sia per verificare ex-post come vengono spesi i soldi. Le delibere successivamente varate da Economides abolirono questa riforma ripristinando lo statu quo. Adesso, il “piano Massolo” mira semplicemente a perpetuare il “sistema Cgil” affinché tutto resti nelle mani degli “esperti” e vengano impediti nuovi tentativi di riforma da parte del centro-destra.


CRESCE PAUROSAMENTE LA BOLLA

DEI CONSIGLIERI DIPLOMATICI


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) Sul tavolo del segretario generale Giampiero Massolo si sta delineando la mappa dei “consiglieri diplomatici” da piazzare addosso alle maggiori cariche della repubblica e ai ministri più importanti, solleticando le loro vanità e la smania di viaggi. Ne verrà fuori una preziosa rete di informazioni e controllo politico. La prima avance Massolo l’ha fatta verso il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha reagito stancamente, avendo poca voglia di aerei e incontri internazionali.

Questo fenomeno dei consiglieri è cresciuto nelle ultime due legislature diventando una piaga. Ormai non c’è diplomatico di mezza età e di mezza carriera che non aspiri a infilare la testa nei palazzi del potere, facendosi adottare da un politico che diventerà il suo futuro sponsor. Avere l’assistenza di un addetto diplomatico era una prerogativa limitata al capo dello stato e al presidente del consiglio. La cosa è proliferata indecentemente fino ai governatori regionali e persino ai sindaci dei maggiori comuni, tutti titolari di una loro piccola politica estera.


PER I SOTTOSEGRETARI AGLI ESTERI

AL MASSIMO QUATTRO POSTI STRIMINZITI


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) I sottosegretari agli esteri del nuovo governo non potranno essere più di quattro o meglio tre più uno, in base all’impegno assunto dal Cavaliere di sfoltire il precedente apparato di governo. La quarta poltrona è riservata all’uomo del commercio estero che sarà ancora quasi certamente il veterano Adolfo Urso di AN, forse con la qualifica di vice ministro. Per gli altri tre è molto probabile il ritorno del senatore Alfredo Mantica, uomo di larga cultura ed esperienza internazionale cui dovrebbe andare la delega dei continenti caldi e strategici Asia e Africa

La componente Forza Italia dovrebbe schierare agli Esteri due debuttanti benedette dal Cavaliere: Stefania Craxi per fare dispetto all’uscente Bobo il “fratello coltello”; e Barbara Contini l’ex governatore di Nassiriya attualmente impegnata con gli Italiani nel mondo. Se la Lega Nord rivendicasse una poltrona, si fa il nome dell’ex senatore Fiorello Provera, che è stato presidente della commissione esteri del Senato.


L’ENNESIMA ESCLUSIONE

DEL VOLENTEROSO ZACCHERA


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) Dal giro di nomine di governo, per decisione di Gianfranco Fini, è stato escluso ancora una volta il volenteroso deputato piemontese Marco Zacchera, teoricamente responsabile esteri di AN al quale, tra via della Scrofa e via dell’Umiltà, si addebita concordemente la colpa del magro risultato del voto degli italiani all’estero. E qualcuno, con vera cattiveria, ha associato il suo nome a quello di Mirko Tremaglia, storico devastatore degli interessi della destra nel mondo.

L’esclusione di Zacchera, che aspirava a un posto di sottosegretario alla Farnesina, è una delle poche certezze in questa materia. Il fatto strano è che qualcuno nei cortili del centro-destra lo aveva invece accreditato agli Esteri, alimentando nel contempo la voce che Barbara Contini sarebbe andata “ai rifiuti” di Napoli. Manovra perfida e insidiosa che l’ex governatore di Nassiryia spera di aver sventato. Dunque, alla Farnesina dovrebbe andare la Contini e comunque il volenteroso Zacchera resterà fuori per un altro giro.


SATIRE

LA STRAORDINARIA CARRIERA

DI ANDREA RONCHI MINISTRO

IN SCENA AL TEATRO DEGLI EQUIVOCI

CON FINI, REBECCHINI E ALTRI


Roma 6 maggio (La Velina Azzurra) A proposito degli ultimi posti in palio nel governo salta agli occhi l’incredibile carriera di questo Andrea Ronchi, capitato non molto tempo fa quasi per caso in Via della Scrofa e già arrivato addirittura alla candidatura del Welfare, cioè di ministro del lavoro. Sono stranezze della politica che richiedono un approfondimento. Abbiamo ora scoperto che le domande sull’identità di questo astro nascente della destra assillano da tempo il mondo di Alleanza Nazionale, ancora memore degli scantinati missini in cui però tutti si conoscevano, si tiravano le sedie e poi andavano in pizzeria. Nessuno sapeva invece chi fosse questo nuovo acquisto di Gianfranco Fini.

C’era però di mezzo il potente ingegnere Gaetano Rebecchini, mitico fondatore-ombra di Alleanza Nazionale, con in tasca -si sussurra- alcune chiavi preziose del Vaticano, poi dimissionario, poi riavvicinatosi al partito ma con tono appartato, poi di nuovo distante ma in fondo sempre nel mezzo alle cose. Andrea Ronchi si era fatto le ossa in una piccola tv privata. E risulta che Rebecchini presentò a Fini “questo giovine dabbene”, come si diceva una volta, affinché potesse costruirsi un ulteriore futuro professionale.

Qui è accaduto evidentemente uno di quegli equivoci improntati ai classici schemi teatrali degli scambi di persona, amori ancillari, corna, finti morti che si svegliano dalle bare, etc. Fatto sta che Rebecchini aveva proposto questo Ronchi per un incarico nel settore della stampa. Ma in quel momento Gianfranco Fini stava forse pensando ad altro. Sicchè, nominava distrattamente Ronchi come suo “portavoce” e poi tornava alla pesca subacquea. Senza aver capito bene neanche lui, Andrea si metteva a parlare in tv, assumendo quel tono un po’ drammatico che assicura credibilità e autorevolezza, sicché molti pensarono che così Fini avesse stabilito. E come sempre si appecoronarono. E quindi, equivoco su equivoco, Ronchi, si ritrovò con un seggio di deputato nel 2006 e con la riconferma nelle ultime elezioni. Fini e tutti gli altri se lo vedevano crescere sotto il naso ma per educazione nessuno gli chiedeva mai chi fosse e che cosa volesse.

L’equivoco è continuato nella fase preparatoria del futuro governo. Andrea Ronchi è salito ancora di poltrona in poltrona. Sembrava che dovesse andare agli esteri come sottosegretario, poi qualcuno ha fatto sapere: “La Farnesina non gli piace, preferisce Palazzo Chigi”. Probabilmente una questione di arredi. Gianni Letta è sbiancato in volto di paura: “Non se ne parla nemmeno, qui c’è un unico sottosegretario e sono io”. “Accidenti, allora dovremo nominarlo ministro. Un dicastero senza portafoglio? No, bisogna dargli un portafoglio grosso, per esempio il Welfare, tanto con questo nome nessuno capisce che si tratta di quel ministero che tratterà contratti di lavoro, pensioni, salari, tasse sugli straordinari, etc. E gli avalli politici? Fini, che doveva dare il via libera, era nel Mar Rosso. Il mitico ingegner Rebecchini era paralizzato dalla sorpresa. Berlusconi invece approvava: “Ronchi… Ronchi? Parente dei Legionari? Nome storico, nobile famiglia! Lo prendo subito, ci farà crescere nei sondaggi”. Ma la memoria del compianto ministro Brodolini? “E chi se ne frega, ma chi è sto Brodoloni…?”



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giovedì 1 maggio 2008

La Velina azzurra
25 Aprile 2008

Il pensiero libero cresce. Ha scoperto la tirannia del suo nemico, il pensiero unico globale. Conosce il volto delle oligarchie, le false divisioni ideologiche, le manipolazioni di massa. Spera che tra i nuovi e i vecchi oppressi, con un comune scatto d’orgoglio e di passione, si realizzi un nuovo blocco sociale per la salvezza del Paese. Il pensiero libero non guarda lontano ma vicino. Sa che l’arma più potente degli oppressori è la disinformazione. Questa newsletter vuole dare un contributo a neutralizzarla.


RIECCOCI

Non potevamo perderci il terzo atto

di Berlusconi perché la politica è fatta

anche di imprevisti

e magari lui darà qualche botta da matto


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - La Velina voleva andare in pensione. Avevamo chiuso bottega dopo la falsa vittoria elettorale di Romano Prodi nel 2006 e il suo ritorno a Palazzo Chigi. Eravamo stanchi di raccontare le macerie italiane, l’infinito collasso del Paese, gli inganni di una classe politica delinquenziale, definita riduttivamente “casta” per una furbizia editoriale di quelli che sperano in realtà di salvarla. Perché le caste sono fenomeni di ingiustizia sociale rimediabili con qualche riforma, mentre il saccheggio delle risorse nazionali è un crimine da trattare, a seconda dei casi, con le carceri di massa o con i forconi del popolo.

Confessiamo che eravamo stufi e rassegnati anche davanti alla certezza che dal voto del 13-14 aprile sarebbe venuto quel pareggio sollecitato dalle oligarchie internazionali in crescente azione sul nostro Paese. La stampa Usa e britannica si erano già schierate per un governo tecnico, finalmente il commissariamento dell’Italia. Invece ecco l’ennesima rinascita del Cavaliere, il ritorno sospinto da una valanga di voti di popolo, dimentichi dei precedenti fallimenti e ancora disperatamente bisognosi di un cambiamento. Siamo convinti che Silvio Berlusconi fallirà anche questa volta. Perché alla sua età non si possono cambiare né la testa né la coscienza. E perché gli interessi propri e altrui che lo hanno già bloccato sembrano impossibili da sfondare. Crediamo che l’Italia potrà salvarsi solo se dal fondo della sua crisi riuscirà a emergere un nuovo patto sociale tra le categorie più oppresse e quelle più produttive.

Ma il nuovo quadro che si è delineato è comunque troppo interessante. Poiché la politica è anche frutto degli imprevisti, Berlusconi, che non a caso sperava anche lui di nascondersi dietro il pareggio, sarà costretto a fare qualcosa di più che in passato, per non essere archiviato negli scantinati della storia nazionale: l’unica cosa che sembra non sopportare. Dovrà forzare la resistenza del vecchio establishment repubblicano che si oppone ad ogni perdita di potere. Un establishment di cui lui stesso, il Cavaliere, è parte piena. E, se questo avverrà, potremo vedere un Berlusconi contro Berlusconi, nel tentativo di forzare i confini del proprio ruolo politico; sarebbe divertente vederlo ribellarsi ai controllori e alle spie da cui è circondato, che lo seguono anche da prima del 1994.

Ma ancora più interessante sarà seguire il Cavaliere sui dossier incombenti come la politica energetica, osservare le sue scelte sulla crisi finanziaria internazionale, sulla dittatura dei mercati globali e sull’Europa, nei rapporti con Mosca e con i guardiani anglo-americani che, temendo da lui intemperanze e colpi di testa, hanno subito mostrato una netta ostilità al suo terzo mandato, con minacciose puntate personali da parte della stampa britannica. E lui, che è sempre più fuori controllo, impegnato nel culto di se stesso, potrebbe anche fare qualche mossa da matto rompendo i giochi nell’interesse del Paese. Comunque, vale la pena sperarlo. Di fronte a un piatto così ricco -lo confessiamo- non abbiamo resistito. Ed eccoci ancora qui, decisi a non perderci nulla dello spettacolo che si prepara.


La prima crisi di Gianni Letta:

forse il Cavaliere

comincia a ribellarsi ai suoi tutori


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - La vulgata giornalistica sostiene che il vice premierato di Calderoli è stato annullato per non imprimere al Governo l’immagine della Lega Nord. Non è vero, ci risulta che il problema fosse un altro, molto importante. Berlusconi aveva promesso in varie stanze e certamente anche a Napolitano che Gianni Letta sarebbe stato promosso al rango superiore di vice premier unico, per accreditare ulteriormente la sua immagine di presunta riserva della Repubblica. All’inizio sembrava che dovesse andare proprio così. E’ stata la Lega a bloccare questa nuova figura di alter ego del Cavaliere che avrebbe alterato l’equilibrio del governo e oscurato la stessa autorità del premier. La candidatura di Calderoli a vice premier associato aveva solo lo scopo di moderare le ambizioni e controllare le future mosse di Letta. Chi di quest’ultimo conosce la capacità di avocare e spegnere le decisioni ha realizzato subito quale potere di interdizione si sarebbe concentrato nelle sue mani.

Ma l’eminenza azzurrina, evidentemente sostenuto da qualcuno, ha alzato la posta, chiedendo anche la poltrona di ministro dell’interno oltre al vice premierato. E la Lega ha replicato riservando il Viminale per Roberto Maroni. Per Gianni Letta si delineava un brusco ridimensionamento che Berlusconi, coperto dalle necessità del rapporto con Umberto Bossi, non pareva troppo preoccupato di impedire. E qui, tra pochissimi addetti ai lavori, si apriva uno scenario inedito: l’impressione non di un dissenso tra il Cavaliere e la Lega -come la stampa ovviamente sosteneva- ma una crisi di saturazione nel rapporto tra il futuro premier con il fido mandarino incamminato verso mete troppo alte.

Solo quando Gianni Letta si è trovato pallidamente nudo davanti alle ragioni della politica, dopo una visita di entrambi a Napolitano il Cavaliere ha risparmiato una peggiore mortificazione al suo ingombrante luogotenente, convincendo Roberto Calderoli a mollare il vice premierato, e aumentando in cambio i ministeri della Lega. Quindi Letta tornerà a fare solo il sottosegretario, come 14 anni fa nel primo governo di centro-destra. Niente di più. Un sottosegretario con pretese bipartisan, mai presentato e mai eletto in un’elezione politica: l’uomo delle mediazioni e dei compromessi con l’establishment, che finora aveva goduto della piena fiducia di Berlusconi.


Altro che 25 aprile

l’Italia non è mai stata mai liberata:

la vera tragedia nazionale è tuttora

la sudditanza con i vincitori del 1945


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Per tornare in campo con la Velina Azzurra abbiamo scelto la data del 25 aprile, che è da 63anni il simbolo e il vero punto critico della tragedia italiana. Come abbiamo ancora verificato in questi giorni, le polemiche sulla Liberazione restano pietrificate sulla questione fascismo-antifascismo, ossia su quell’aspetto puramente storico che impedisce una comune lettura degli eventi e una reale pacificazione nazionale. Ma lasciamo perdere, non è questo il punto, dai tempi di longobardi e bizantini gli italiani hanno vissuto una quantità di guerre civili e religiose mai riassorbite, formando così il loro carattere nazionale che nessuno potrà mai cambiare.

Ciò che l’Italia era “prima” della “liberazione” e prima dell’entrata in guerra nel 1940 al fianco della Germania è cosa che verrà inevitabilmente valutata dalla storia scritta dagli storici e non da quella scritta dai vincitori. Ciò che deve interessarci è invece il presente, dove la contrapposizione fascismo-antifascismo è solo lo schermo con cui si continua -deliberatamente- a coprire la natura della vera, pesantissima questione italiana: ovvero la dipendenza del Paese dalle potenze straniere e la mancanza di legittimazione della sua classe governante. In quel 25 aprile, accadde un fatto assolutamente normale nella storia: per governare il Paese sconfitto e occupato, i vincitori anglo-americani lo consegnarono a un regime politico suddito, insediando quei gruppi e quei personaggi del CLN che li avevano serviti durante la conquista. Come nei secoli bui, con spagnoli e francesi. Ed esattamente come gli Usa hanno fatto in Iraq, dopo aver eliminato l’ex alleato Saddam Hussein di cui s’erano stancati. Hanno chiamato quattro esiliati iracheni e li hanno messi al potere. In entrambi i casi, all’Italia e all’Iraq, hanno fornito loro il manuale delle nuove regole, condizioni, tabù, etc per far sottostare i liberati alle necessità dei liberatori.

A questo punto, concetti come sovranità nazionale, democrazia formale, libera scelta, diritti, elezioni sono sempre stati una scontata ipocrisia. Sulle cose che contano, strategiche e geopolitiche, da 63 anni gli Usa controllano di fatto il nostro Paese, muovendo le reti di amici e tirando anche bruscamente le redini qua e là quando occorre. Gli italiani non sono mai tornati liberi, come si pretende. Se lo dicono i comunisti che gli Usa li hanno tenuti fuori dal comando con tutti i mezzi legali e illegali ciò significa di converso che i partiti politici “amici dell’America” governavano ligi agli ordini ricevuti. Era per tenere fuori il comunismo dall’Italia? Certo. Ma era anche per tenerci legati all’America.

E quindi l’Italia non era un Paese libero di decidere davvero il proprio assetto interno e le proprie amicizie internazionali. Ma ciò significa che la nostra classe governante non era espressione della volontà popolare ma una struttura politica di dipendenza e collaborazione in cambio del ruolo ricevuto. Viene da ridere quando si cita il caso di Aldo Moro nell’ormai generale certezza che l’uomo politico democristiano venne sacrificato su ordine delle due superpotenze per i suoi eretici programmi sul Partito Comunista. Da entrambe le superpotenze, chiariamo bene. E allora bisognerebbe domandarsi: se l’Italia all’epoca di Moro non era libera nemmeno nella sua politica interna, adesso si è forse liberata? Per esempio, i suoi “legami” con l’Occidente la rendono libera di rifiutare la dittatura dei mercati o di fare una politica di vasta collaborazione economica con la Russia o con l’Iran? Fino a un certo punto, forse, ma non oltre.

Con il nuovo assetto dell’Europa e del mondo, ammainata la bandiera della difesa del mondo libero dallo spauracchio dell’Unione Sovietica, le cose sono diventate molto più chiare. L’Italia, ormai svuotata ed esausta per la lunga mancanza di un sistema politico vitale, continua ad essere governata da quella stessa classe dirigente di collaborazionisti che era già abusiva all’origine e figuriamoci ora. Una classe necrotizzatasi nel tempo resiste aggrappata al potere che non ha più: con le sue fradice istituzioni, i decrepiti presidenti, gli apparati mafiosi, le vergogne non più nascoste. E sta trascinando nel suo gorgo un Paese che non solo si spezza in due tra nord e sud ma anche nella frattura sempre più larga tra le masse impoverite e senza futuro e le volgari oligarchie dei ricchi con licenza illimitata di furto e di speculazione.

Così i vecchi padroni anglo-americani si sono innervositi, non immaginano dove andrà l’Italia che rischia ormai di dover uscire dall’Euro, quel recinto dove i popoli sudditi dell’America sono stati chiusi e privati della loro sovranità. I padroni sono diventati inquieti e quindi molto visibili. Leggiamo ogni giorno sui loro mass media i consigli, le minacce, le manovre sulla nostra economia. Le maldestre operazioni per rinnovare la politica italiana, riciclando al potere gli ex comunisti pentiti e ricattati, sono tutte fallite. L’ultima patetica delusione è stata il Partito democratico, partorita nelle tenute inglesi di Rothschild e covata dal sinedrio di economisti neo-fabiani riunito attorno a un direttore di giornale. Ma faranno altre prepotenze, intrighi e chissà cos’altro per non mollare l’osso. La tragedia della “liberazione” è solo questa: che i liberatori sono ancora qui, con i loro servi e scherani, anche questi ultimi sempre più visibili. Avremo il piacere di occuparci di entrambi.


Caduta la maschera di Giuliano Ferrara:

aveva firmato cambiali segrete a Rutelli


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Non ci siamo mai fidati di Giuliano Ferrara. A fine anno, con la crisi di governo in arrivo, Francesco Rutelli titolare dei beni culturali aveva insediato suo fratello Giorgio come direttore del festival dei due mondi. Prima di Spoleto, costui era stato 4 anni a Parigi direttore dell’Istituto Italiano di Cultura. Sempre di nomina politica, stavolta partita dal governo di centro-destra. Gli intellettuali nostrani e transalpini si erano scatenati contro la temuta “berlusconizzazione” della cultura. Niente paura. L’altro ieri il fratellone Giuliano ha fatto outing rivelando che andava a votare per Rutelli al Campidoglio. Una famiglia bipartisan.

E con questo, finalmente si è avuta conferma dei peggiori sospetti sulla lista anti-aborto: mirava semplicemente a uno smottamento di voti cattolici dal centro-destra per favorire il P.D. soprattutto a Milano e Roma, dove l’operazione avrebbe danneggiato Gianni Alemanno, nella speranza che Rutelli vincesse al primo turno. Il destino ha voluto diversamente: così nel ballottaggio, Ferrara ha dovuto uscire allo scoperto almeno per onorare a chiacchiere le cambiali da lui sottoscritte con la sinistra. Ma anche dopo questo, non crediamo affatto che Berlusconi sia capace di liberarsi di un personaggio così infido, che lui e sua moglie Veronica Berlusconi hanno considerato sinora un fedele consigliere.


Le banche italiane strozzano Sensi

aprendo la strada alla finanza ebraica

che ha conquistato il calcio inglese

e sta per dilagare in italia


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Vendono o non vendono. Altro che. Con 340 milioni di debiti ufficiali, i poveri Franco e Rossella Sensi venderanno di sicuro, di corsa, disperatamente. Venderanno a qualcuno ma venderanno. Negando l’interesse a cedere la Roma calcio volevano fare i furbi con i potenziali compratori, tra cui quel George Soros che nel 1992 stese a terra in pochi giorni la Lira italiana e la Sterlina britannica. E che ora, guardando altrove come il gatto fa quando ha già preso il topo tra le zampe, li sta strozzando con l’aiuto delle banche italiane creditrici che spingono su Italpetroli per un rientro immediato. Due banche per la memoria futura: Unicredit e Antonveneta (ormai quasi di proprietà del gruppo Montepaschi, quello di D’Alema e compagni). Perciò Soros, se davvero ha deciso di comprare il club giallo rosso farà firmare un assegnuccio al proprio segretario. E della società e dintorni (i terreni di Trigoria e Torre Vecchia) si occuperanno solo i suoi fiduciari italiani.

Quanto a Papà e figlia, hanno già dovuto vendere la catena degli alberghi (Cicerone, Filippo II, Residence Villa Pamphili), la quota in Aeroporti di Roma e alcune istallazioni petrolifere sulla costa tirrenica. Grasso che cola se riusciranno a salvare dal disastro qualche lotto per assicurare un sereno futuro anche familiare all’intraprendente Rossella. La stampa sportiva sembra averli già abbandonati, a giudicare dalle sviolinate verso il nuovo presunto padrone, inaugurate mercoledì scorso dal Corriere dello Sport. Ma temiamo proprio che con Soros i tempi grassi sarebbero finiti per gli amici giornalisti e per un intero mondo variegato di furbi e di imbecilli che ha ruotato per decenni attorno alle tribune giallorosse.

Infatti, nessuno ha detto ancora che il mercato del calcio europeo è stato preso d’assalto dalla finanza ebraico-americana ed ebraico-russa che in pochi anni ha già ingoiato il campionato inglese di prima serie. Nella rassegna stampa dell’Ucei, la comunità israelita italiana, si rileva con orgoglio che “oggi gli israeliani - e gli ebrei in genere - sono i protagonisti del calcio britannico”. L’elenco dei club acquistati da magnati americani o russo-britannici di origine ebrea, oltre ovviamente al Chelsea di Roman Abramovic (pare azionista sotto banco anche di altre squadre) comprende l’Arsenal, il Manchester United, il Liverpool, l'Aston Villa di Birmingham, mezzo Portsmouth. La rassegna dell’Ucei presenta con soddisfazione anche una notevolissima lista di manager, allenatori e agenti procuratori di origine ebraica e persino di calciatori israeliani di grande successo.

Il fatto è che dagli stadi e dall’infinito indotto televisivo, industriale, commerciale ed edilizio del foot ball, sapendoci fare, non si ricavano solo montagne di soldi, ma si controllano fenomeni e tendenze politiche, sociali e culturali di intere Nazioni: voti, costumi, simpatie, antipatie. Ad esempio non è forse un caso che Abramovich voglia comprare il Bari della famiglia Matarrese, puntando a una città strategica del sud Italia, prossimo terminale del gasdotto russo South Stream, che guarda ai traffici di ogni genere tra l’Adriatico e i Balcani. Qualcuno dovrebbe cominciare ad insegnare alla gente che le geo strategie delle grandi potenze si sono aggiornate. E le basi militari che giustamente spaventano la gente hanno pur tuttavia un ruolo subalterno e complementare rispetto ad altri flussi profondi che preoccupano molto meno dei bombardieri.

Anche l’eclettico George Soros si occupava da tempo di club sportivi, oltre che di assalti alle monete e di rivoluzioni arancioni nei Paesi già alleati della Russia. Finanzia notoriamente squadre nel basket e di calcio. E’ proprietario del DC United, apprezzabile club del soccer americano. Nel 2004 ha tentato un colpo grosso, l’acquisto della Washington National, squadra icona di base-ball della capitale USA. Ma la politica USA glielo ha impedito, alla faccia del mercato. E lui ha abbozzato, avendo scoperto nel frattempo che la vera Mecca è l’Europa. Il suo interesse per la Roma è quindi credibile, anche se qualcuno sospetta che l’ipotesi Soros sia solo uno sbarramento contro altri concorrenti esteri ansiosi di irrompere negli stadi del Bel Paese.

Comunque è un segno dei tempi vedere ridotta quasi sul lastrico una delle famiglie di media potenza della prima repubblica, che tutti credono erroneamente romana. Nessuno ricorda più che papà Franco Sensi, con la protezione del democristiano Arnaldo Forlani, era passato dal mestiere dei diretti ascendenti (ovini e ricotte transumanti) agli idrocarburi e al quotidiano Corriere Adriatico, diventando il ras economico democristiano delle Marche. La seconda repubblica, con le sue follie bancarie lo ha portato fuori dall’anonimato marchigiano, ai vertici della Roma calcio e -ca va sans dire- alle grandi lottizzazioni della capitale, fatte e ancora da fare.

Dopo l’epoca dei buffi a man salva, il grosso guaio per i Sensi giallo-rossi è stata la dipartita giudiziaria dell’omologo patron laziale Sergio Cragnotti, con conseguente, rapidissima fuga dal business del calcio del comune protettore, il banchiere frascatano di Capitalia Cesarone Geronzi. A questo punto, in un crescendo di strette alle coronarie di Papà Franco, il destino dei Sensi era segnato nonostante i consigli dell’assiduo vicino di tribuna Pippo Marra. Ed ora ecco l’assalto degli stranieri. Se Soros si prende la Roma colpirà al cuore, direttamente nella capitale. Poi toccherà anche ad altri. Il mercato calcistico italiano è ricco di opportunità per i professionisti della speculazione planetaria, così lontani dai nostri miserabili affaristi di provincia. Un caro nostro amico, parafrasando Von Clausewitz, ha teorizzato che il calcio italiano “è la continuazione della politica con altri mezzi”. Se ciò è vero –e ne siamo convinti- anche questo strumento potrebbe finire presto in mani non italiane.


Onore a Selva quello dell’ambulanza

che lascia il Parlamento seppellendo

il 25 aprile: “Una festa da abolire

una data da dimenticare”


Roma 25 aprile (La Velina Azzurra) - Vogliamo andare contro corrente salutando con tutti gli onori Gustavo Selva che lascia il Parlamento in questi giorni, avendo deciso di non ripresentarsi alle elezioni del 13-14 aprile. Un gesto saggio e realistico, da responsabile servitore dello Stato. Adesso che questa sua razza si è estinta, all’età che porta, è meglio prendere posto nel piccolo girone dei saggi e degli onesti, dedicando la propria lunga esperienza e la propria lunghissima vita futura ad opere e ruoli ben più alti ed incisivi delle squallide risse politiche. Come l’aggressione quasi generale di cui Gustavo è stato vittima per il noto episodio dell’ambulanza: un’innocente sciocchezza da lui stesso dolorosamente ammessa davanti alla platea di ladri e malfattori che ha devastato e continua a saccheggiare questo nostro Paese.

Gustavo, in quel momento, l’hanno compreso e difeso in pochissimi, tra cui -bisogna dirlo- quel Silvio Berlusconi che in certe sortite riesce ad apparire in collisione con il conformismo dell’establishment. Mentre è altrettanto d’obbligo sottolineare che Selva è stato abbandonato proprio dalla leadership di Alleanza Nazionale che del suo nome si era servita nel 1994 come copertura per il primo passo verso lo smaltimento della vecchia identità del MSI, processo che si concluderà con l’imminente confluenza nel PDL berlusconiano.

Ormai, il prossimo presidente della Camera Gianfranco Fini crede –lui crede- di aver raggiunto il proprio obiettivo: lo spegnimento della fiamma della memoria in cambio di una plastica facciale di leader asettico e modellabile come la gomma da masticare, simbolo della cultura dei “berretti verdi” americani che tanto lo affascinarono. Inutile ricordare che la chewing gum finisce regolarmente sotto le scarpe di qualcuno. Ma giova sottolineare una coincidenza che è segno dei tempi: mentre il “giovane” Fini sale ad inchinarsi alle cadenti istituzioni politiche imposte dai vincitori all’Italia sconfitta, l’anziano Gustavo Selva lascia Palazzo Madama dopo sessanta anni di impegno politico con un gesto di forza e di sfida: il ripudio del 25 aprile e la richiesta di abolire la relativa festa nazionale.

"Purtroppo per la retorica e i falsi che sono stati fatti- ha spiegato Selva in una dichiarazione a Radio Radicale- viene attribuito alla Resistenza e alla vittoria dei partigiani un merito che non c'è stato". Da emiliano che ha vissuto in quegli anni nel famigerato triangolo dei massacri, egli ha ricordato le vendette assassine dei cosiddetti eroi della Resistenza, concludendo che il 25 aprile “non ha creato unità nel popolo italiano, è sempre stato motivo di divisione, è una data che va dimenticata”.

Per la naturale modestia che lo distingue, tra i pregi e i difetti, Selva ama presentarsi tuttora come un semplice giornalista, ricordare del proprio ricchissimo passato solo il grintoso periodo alla guida del GR2. Sbaglia e speriamo proprio che cambi argomenti. L’idea che abbiamo della sua persona è ben più alta e ricca. Tanto che, nella miserabile Italia di oggi, tra le pochissime figure che per onestà intellettuale e nobiltà politica meritano ammirazione, lui è una delle più luminose. Dunque, onore e buona fortuna a Gustavo. C.L.


LA VELINA AZZURRA


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